COME ERA BIANCA LA NEVE NEL FEBBRAIO MILLENOVECENTOQUARANTAQUATTRO
Mio padre disegna sogni sul vetro appannato di una finestra chiusa imprigionando speranze che mordono la paura e come un passeggero frettoloso cancella i segni per non ricordare gli odori che sprigiona l’illusione. Sul tavolo, la candela consuma il tempo affiancando il silenzio che appartiene all’attesa. Il mio dito, imboscato di placenta, vive da nove mesi in parole che si confondono ma la donna è forte come una cometa e, con mani di sposa, accarezza la mia vita ancora chiusa. Si nasconde il sole negando il mezzogiorno alla piazza orfana di campanile, gridano i passanti migratori sul ponte di pietra, cade anche l’albero dove è rimasta appesa una bandiera croce di ferro giace dove orma di soldato si riposa la guerra chiude gli occhi e non si scusa. Morde il catenaccio una nuova aurora liberando la veduta aperta sulla casa e, diverso dal venticinque e precedenti, il giorno mi piace, è giorno che tace! Rannicchiato mi affaccio all’androne della vita aprendo gli occhi in un mattino sequestrato dal sorriso di mia madre dentro una stanza vuota: non una luce, non un fiore, non una parola ma la donna è forte come una cometa e, con mani di fata, accarezza la mia vita appena nata. Mio padre disegna sogni sul vetro appannato di una finestra chiusa liberando speranze che fuggono la paura e come un passeggero felice lascia i segni per non dimenticare i profumi che sprigiona l’avvenire. Fuori, la neve bianca di febbraio si appoggia lentamente al davanzale annusa il mio respiro e si addormenta. |